Il costo socio-economico del pesce scartato perché non trova mercato
L’Osservatorio per la tutela del mare in prima linea per ridurre gli avanzi della pesca e la pressione sulle risorse marine
«Signora Luisa, il solito? Le pulisco un’orata? A lei, invece, signor Franco, una sogliolina per il bimbo? A chi le do queste belle triglie? ». Frasi comuni in una pescheria; quante volte le avremo sentite. Seppure i banchi del pesce siano una tavolozza di colori e una varietà di forme, data dalle numerose tipologie di pesci, molluschi e crostacei presenti, al giorno d’oggi il consumo si basa su un gruppo sempre più ristretto di specie.
I motivi sono tanti: la perdita delle tradizioni culinarie, anche nei luoghi con maggiore cultura marinara, la mancanza di tempo che porta a scegliere qualcosa di “facile” da preparare e magari precotto, le conoscenze sempre minori dei prodotti ittici alternativi alle specie più conosciute e consumate.
Eppure il nostro amato Mar Mediterraneo, grazie alla sua ricchezza e diversità specifica (rappresenta appena lo 0,8 percento come superficie delle acque degli oceani ma fornisce una percentuale variabile fra il 4 e il 18 percento, a seconda del gruppo considerato, delle specie marine), offrirebbe una gamma ampia di prodotti da presentare sulla nostra tavola. Si stima che attualmente il consumo di “pesce” si basi per lo più su una trentina di specie, mentre sono almeno il doppio quelle commestibili e di facile reperibilità. Il risultato è che, assieme al pesce che vediamo sui banchi dei mercati, ce n’è un’altra porzione che, dopo essere stata pescata, viene rigettata in mare dai pescatori, perché “non ha mercato”.
Lo scarto della pesca è un problema mondiale e non è dovuto solo dalle richieste del mercato, ma anche ad altri fattori, legati alla scarsa selettività di certi sistemi di pesca o ai regolamenti sulle dimensioni dei pesci da commercializzare. La Fao ha stimato che almeno il 20 per cento del pesce catturato a livello mondiale viene rigettato in mare. Un chiaro esempio di spreco, di pressione aggiuntiva sulle risorse ittiche e sugli ecosistemi marini, che in molti casi si trovano già in stato di sofferenza. La pesca deve essere attuata seguendo un approccio di sostenibilità, per preservare le risorse ittiche e la salute degli ecosistemi e allo stesso tempo mantenere la redditività economica di questo importante settore primario.
Di questi ultimi aspetti si sta occupando l’Unione Europea, con la Politica comune della pesca; la ricerca sta sperimentando innovazioni tecnologiche per rendere più selettive le attrezzature di pesca, oppure sta valutando la fattibilità dell’utilizzo degli scarti della pesca per prodotti farmaceutici, cosmetici o come mangimi per animali.
Come comuni cittadini, però, possiamo dare il nostro contributo a diminuire lo scarto, diversificando il consumo di pesce, orientandolo anche su specie considerate meno nobili e che nel tempo sono state “dimenticate”. Abbiamo a disposizione una vasta gamma di specie da rivalutare come il sugarello, il grongo, la razza, il pesce bandiera, la salpa, solo per fare alcuni esempi.
Sono sempre più frequenti eventi, sagre, pubblicazioni e iniziative, anche nelle mense scolastiche o nella grande distribuzione, mirate a far conoscere e riscoprire il “pesce povero” e le ricette della nostra tradizione.
Basti pensare al cacciucco, un fiore all’occhiello della cucina livornese, nato secondo una tra le tante leggende nelle famiglie dei pescatori per recuperare il pesce invenduto. Questo a dimostrazione di come del pesce non si dovrebbe buttare via niente.
FONTE: Il Tirreno