Creare un fondo per i danni ambientali nei paesi in via di sviluppo: una proposta per la sostenibilità

Giu 12, 2023Contributi

La creazione di un fondo internazionale per i danni ambientali potrebbe sostenere interventi contro la perdita di biodiversità e la riparazione dei danni causati. Gli esperti invitano i paesi ricchi a contribuire finanziariamente per compensare gli impatti causati dalla loro attività.

 

Nel libro “Elogio della crescita felice contro l’integralismo ecologico” dell’ex presidente di Legambiente Chicco Testa, viene messo in evidenza che la sostenibilità è un percorso che richiede risorse economiche adeguate. Testa sottolinea l’importanza di disporre di risorse adeguate per sostenere gli interventi necessari per una trasformazione del mondo industriale. È quindi fondamentale riconoscere che non si può impoverire tali attori e allo stesso tempo chiedere loro di investire. La questione delle risorse diventa pertanto di grande rilevanza, soprattutto per coloro che ne sono privi.

 

 

Creare un fondo per la biodiversità

Giunge ora una proposta da alcuni esperti che chiedono la creazione di un fondo per “perdite e danni” causate alla biodiversità e riservato ai paesi in via di sviluppo.

 

Come già proposto sul tema del cambiamento climatico, in sostanza gli stati ricchi dovrebbero pagare per la perdita di biodiversità provocata nei paesi più poveri.

 

Durante i negoziati sul clima di Cop27 lo scorso novembre, i leader mondiali avevano infatti concordato la creazione di un fondo dedicato alle “perdite e danni”, che fornirà assistenza finanziaria alle nazioni povere colpite da catastrofi climatiche. Il principio è che i paesi più sviluppati, responsabili in gran parte del cambiamento climatico, devono risarcire i paesi più poveri, che sono tipicamente più vulnerabili ai suoi impatti.

 

Ora i ricercatori sostengono che un fondo simile dovrebbe essere creato anche per la perdita di biodiversità.

Ciò perché la perdita di habitat e lo sfruttamento eccessivo delle risorse nei paesi poveri sono causati dal consumo globale di chi è più ricco. Ritroviamo la nortizia su un commento pubblicato su Nature Ecology & Evolution.

 

I ricercatori affermano: “La perdita globale di biodiversità è stata guidata in modo sproporzionato dal consumo delle persone nei paesi ricchi. Il concetto di ‘perdite e danni’, familiare dagli accordi internazionali sul cambiamento climatico, dovrebbe essere preso in considerazione per gli effetti della perdita di biodiversità nei paesi del Sud globale“.

 

Come per il cambiamento climatico, la perdita di bidiversità ha significativi impatti sociali ed economici. A causa dell’espansione di attività distruttive come l’estrazione mineraria, l’agricoltura e la deforestazione promosse dalle nazioni ricche, le persone nei paesi più poveri spesso hanno meno risorse naturali per sfamarsi, meno opportunità di generare reddito e subiscono una perdita dei valori culturali, secondo i ricercatori.

“Sono fermamente convinto che dobbiamo velocemente imparare a vedere il nostro mondo non come un magazzino al servizio dei nostri infiniti desideri, bensì iniziare a vivere questo mondo incredibilmente meraviglioso che diamo imprudentemente per scontato. Così riusciamo anche a superare le disuguaglianze assurde che dividono oggi il mondo. Ricordiamoci che il 10% più ricco causa il 50% delle nostre emissioni e che sono responsabili in primis della crisi della biosfera.
Il primo passo per gestire questa crisi è riconoscere di essere in una crisi. E qui ancora non ci siamo. Non siamo consapevoli che quest’economia cioè questo spinto consumismo mette a rischio la specie umana. Solo se riuniremo una massa critica di persone che chiedono i necessari cambiamenti necessari, eviteremo le conseguenze peggiori di questa multipla crisi esistenziale. Impegniamoci a intensificare a sensibilizzare rapidamente l’opinione pubblica.”

 

 

Un esempio è rappresentato dalle flotte dell’UE che praticano la pesca eccessiva nell’Africa occidentale per soddisfare i consumatori europei, causando “notevoli impatti negativi sulle comunità locali che dipendono dal pesce per il reddito e l’alimentazione, portando a povertà, disoccupazione, declino della salute e stress sociale nelle comunità locali”.

 

“Sono le persone più vulnerabili e povere ad essere colpite maggiormente dalla perdita di biodiversità e hanno bisogno di un sostegno aggiuntivo per affrontarne gli impatti.”

 

Questo è il problema”, afferma l’autrice principale del commento, la dottoressa Dilys Roe, dell’Istituto Internazionale per l’Ambiente e lo Sviluppo a Londra. “Ci sono queste perdite e danni aggiuntivi che non sono legati al cambiamento climatico e attualmente non vengono presi in considerazione“.

 

 

Chi inquina paga, ma anche chi consuma paga

Nel caso del clima, il principio del “chi inquina paga” si basa sulla nozione che coloro che producono inquinamento dovrebbero sopportare i costi per ridurne i danni alla salute umana e all’ambiente.

 

I ricercatori stanno esplorando l’idea del “chi consuma paga” per la biodiversità: coloro che consumano risorse naturali (come il legno o la carne) dovrebbero pagare per gli impatti. “Il primo passo è aprire la discussione su questo e se il principio del ‘chi consuma paga’ sia un principio valido come quello del ‘chi inquina paga’”, afferma Roe.

 

“Penso che la questione della perdita di biodiversità sia indietro di diversi anni, se non decenni, rispetto alle discussioni sul cambiamento climatico”, ha detto Roe. “Ci lamentiamo della perdita di specie e delle splendide foreste pluviali, senza necessariamente riflettere sulle implicazioni sociali di ciò e su cosa significhi effettivamente per le persone sul campo. La perdita di biodiversità è un problema sociale e di sviluppo tanto quanto un problema ambientale”.

 

La dottoressa Sarah Dalrymple, ecologa della conservazione presso la Liverpool John Moores University, che non ha partecipato allo studio, concorda con la premessa. Afferma: “La conservazione della natura non riguarda solo la preservazione degli ecosistemi e delle specie, ma deve anche includere la giustizia sociale come suo elemento fondamentale. Per questo motivo, sosterrò l’inclusione del principio delle perdite e danni negli accordi globali che affrontano la perdita di biodiversità“.

 

 

Global Biodiversity Framework (Gbf)

Durante la COP15 (Conferenza sul Biodiversità delle Nazioni Unite) tenutasi nel 2021, è stato raggiunto un importante risultato con l’adozione del Global Biodiversity Framework (Gbf) da parte di 120 Paesi. Questo quadro globale rappresenta un accordo di vasta portata volto a garantire la stabilità dei servizi ecosistemici fondamentali per la sicurezza umana, lo sviluppo economico, la tutela della natura e la lotta contro il cambiamento climatico.

 

Il Gbf si basa su quattro obiettivi principali che devono essere raggiunti entro il 2030. Questi obiettivi includono l’arresto e l’inversione della perdita di biodiversità, il taglio di almeno 500 miliardi di dollari all’anno di sussidi governativi dannosi per la natura, il dimezzamento degli sprechi alimentari e la promozione dei diritti delle comunità indigene per la tutela della natura.

 

Inoltre, il framework mira alla riduzione del rischio dei fertilizzanti, allo stop all’inquinamento da plastica, alla rigenerazione di almeno il 30% degli ecosistemi degradati e alla mobilitazione di risorse pubbliche e private per almeno 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030.

 

Per garantire un sostegno finanziario adeguato, è stato quindi stabilito di investire almeno 200 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti nazionali e internazionali relativi alla biodiversità provenienti da fonti pubbliche e private. Inoltre, si prevede di sostenere i Paesi meno sviluppati e gli stati insulari con almeno 20 miliardi di dollari all’anno entro il 2025 e 30 miliardi di dollari all’anno entro il 2030 tramite un nuovo Fondo per la Biodiversità, che sarà istituito all’interno del Global Environmental Fund (Gef).

 

Questo fondo, già impegnato nella canalizzazione di risorse dai paesi Ocse per investimenti in clima e natura, contribuirà ad affrontare le sfide della perdita di biodiversità su scala globale.

 

L’adozione del Global Biodiversity Framework rappresenta un passo significativo nella protezione e ripristino della biodiversità a livello mondiale. Attraverso l’impegno comune dei Paesi partecipanti, si mira a preservare la diversità biologica del nostro pianeta e a garantire un futuro sostenibile per le generazioni future.

 

 

Il Global Biodiversity Framework oggi

Il Global Biodiversity Framework rappresenta un importante punto di riferimento per la conservazione della biodiversità a livello mondiale. Tuttavia risulta ancora difficile reperire informazioni dettagliate su cosa in realtà sistia concretamente facendo.

 

In Italia nel mese di maggio è stato inaugurato a Palermo il National Biodiversity Future Center, un nuovo centro di ricerca dedicato alla biodiversità, gestito dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Questa struttura ha il compito di proteggere il 30% del territorio italiano entro il 2030, promuovendo la conservazione degli ecosistemi terrestri, marini e urbani.

 

Il National Biodiversity Future Center, finanziato tramite i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), coinvolge oltre duemila ricercatori, con un’attenzione particolare alla parità di genere, avendo coinvolto un’elevata percentuale di ricercatrici donne. L’istituto di ricerca si impegna a raggiungere gli Obiettivi dell’Agenda 2030, contribuendo così agli sforzi dell’Italia nel campo della biodiversità.

 

La funzione principale del National Biodiversity Future Center è quella di monitorare, preservare e ripristinare gli ecosistemi, con un focus specifico sul Mar Mediterraneo e sulla biodiversità in generale, considerandoli elementi chiave per uno sviluppo sostenibile. Durante l’evento di inaugurazione, Maria Chiara Carrozza, Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha sottolineato l’importanza di questa struttura nel perseguire tali obiettivi.

 

Il centro di ricerca è organizzato come una ruota di bicicletta, con la sede principale a Palermo e otto “raggi” che rappresentano i principali temi di ricerca. Il National Biodiversity Future Center collaborerà con università, enti privati, associazioni e altri centri di ricerca al fine di raggiungere l’obiettivo ambizioso di proteggere il 30% del territorio italiano entro il 2030.

 

 

Un impegno comune per la biodiversità

La tutela della biodiversità è un impegno che riguarda tutti noi, non solo le istituzioni. Ogni individuo, in quanto parte integrante dell’ecosistema, ha il potere e la responsabilità di contribuire alla salvaguardia della diversità biologica del nostro pianeta.

 

Ognuno di noi può fare la propria parte adottando pratiche sostenibili nel proprio stile di vita quotidiano. Scegliere prodotti provenienti da fonti sostenibili, ridurre l’utilizzo di plastica monouso, promuovere l’agricoltura biologica e supportare iniziative di conservazione sono solo alcune delle azioni che possiamo intraprendere.

 

Inoltre, l’informazione e la consapevolezza sono fondamentali. Educarsi sulla biodiversità e diffondere la conoscenza tra amici, familiari e comunità può contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della tutela della natura.

 

La collaborazione tra enti pubblici, organizzazioni non governative, aziende e cittadini è essenziale per raggiungere risultati significativi nella conservazione della biodiversità. Attraverso progetti congiunti, partenariati e sinergie, possiamo lavorare insieme per preservare gli habitat, proteggere le specie in pericolo e promuovere la sostenibilità a lungo termine.

 

L’impegno per la tutela della biodiversità non deve mai vacillare. È una sfida urgente e globale che richiede un impegno costante e un cambiamento di mentalità. Solo attraverso uno sforzo collettivo possiamo garantire un futuro sostenibile per le generazioni future, in cui la ricchezza della vita sulla Terra sia preservata e valorizzata.

 

Dunque, è fondamentale che ognuno di noi assuma un ruolo attivo nella protezione della biodiversità, promuovendo l’adozione di politiche sostenibili, sostenendo progetti di conservazione e agendo in modo responsabile nel nostro quotidiano. Solo insieme possiamo fare la differenza e garantire un mondo in cui ogni forma di vita abbia la possibilità di prosperare.

 

Ho iniziato l’articolo con una citazione di un libro, lo concludo con un’altra citazione di Enrico Giovannini, ex ministro del MIMS e direttore scientifico di ASVIS, tratta dal libro “L’Utopia Sostenibile” in cui evidenzia come oggi si possa cambiare il futuro del pianeta “ostinatamente decidere di impegnarsi ancor di più per diseganre e realizzare una nuova utopia, in cui equità e sostenibilità sociale, economica, ambeintale e istituzionale diventino prassi, cioè per costruire un nuovo paradigma dello sviluppo umano, pienamente degno di questo nome e rispettoso dei limiti planetari”.

 

Un commento dell’Osservatorio Nazionale per la Tutela del Mare

ONTM – l’Osservatorio Nazionale per la Tutela del Mare interviene sull’argomento con il suo Presidente Roberto Minerdo “La questione posta in evidenza con la possibilità di costituire un Fondo Internazionale per la sostenibilità e in particolare per compensare i danni causati nei Paesi in via di sviluppo mette in risalto un tema che mi è ben chiaro e che è fonte di discussione in vari contesti in cui mi sono trovato, ovvero che la sostenibilità ha un costo perché per rendere sostenibile lo sviluppo è necessario mettere in pratica investimenti a sostegno degli ecosistemi ambientali e sociali. Concordo con la posizione assunta nel tempo da Chicco Testa perché può esistere una crescita felice e apriamo gli orizzonti verso la consapevolezza che si debbano programmare idonee risorse economiche per prevedere misure adeguate in ogni contesto, a difesa della biodiversità ma con un atteggiamento a favore sì dell’ ambiente che ci circonda ma lontano da posizioni chiuse di fondamentalismo e integralismo ecologico-ambientale che ha dimostrato di portare benefici al nostro Pianeta.

 

Noi ci occupiamo, come ONTM, principalmente dell’ecosistema marino che impatta necessariamente con l’insieme delle componenti ambientali non solo riconducibili direttamente al mare, sono convinto che un Fondo internazionale non debba stanziare risorse solo per iniziative di ricucitura di danni ambientali ma possa contribuire all’investimento verso attività che prevengano danni e disastri ambientali, a partire dalla diffusione di una adeguata cultura diffusa sui comportamenti che l’uomo può e deve attuare in difesa della biodiversità. La pianificazione di risorse importanti per il sistema mare è stata recentemente annunciata da Ispra per l’Italia con misure atte al ripristino di intere zone marine ma anche per il monitoraggio e il controllo e per l’introduzione di sistemi e tecnologie atte a consentire il miglioramento dell’ecosistema marino, credo che questa sia la strada corretta per mettere in atto azioni concrete. Via libera quindi a processi di compensazione economica dei Paesi più ricchi ma che questo non giustifichi la libertà di inquinare a patto di risarcire, sarebbe un errore che pagheremmo a livello globali per gli anni a venire, bene invece una compensazione rispetto ai consumi.”

 

 

FONTE: Ingenio