Mine navali alla deriva: dall’odierno conflitto Russia – Ucraina, uno sguardo alla storia e al diritto marittimo internazionale
L’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina ha aumentato l’attenzione della comunità internazionale sul possibile uso di mine navali alla deriva: Anche se specifiche restrizioni legali internazionali sono state ampiamente concordate a causa dell’impatto critico sulla navigazione commerciale, le mine alla deriva sono utilizzate dalle forze armate di numerosi paesi.
I recenti fatti del febbraio 2022, connessi all’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate Russe, hanno aumentato l’attenzione della comunità internazionale sul possibile impiego di mine alla deriva da parte dei contendenti. L’uso incontrollato di mine alla deriva nelle aree costiere del Mar Nero pone infatti rischi altissimi alla navigazione mercantile e alle eventuali operazioni navali alleate per la stabilizzazione della pace al termine del conflitto.
Le mine alla deriva galleggiano sulla superficie del mare ed usano il contatto fisico con il potenziale bersaglio per attivare la carica esplosiva contenuta all’interno.
Scopo è quello di impedire l’uso di un’area di mare anche per mezzo degli effetti psicologici associati.
L’utilizzo delle mine navali risale alla guerra di Crimea dell’800 e persiste in quasi tutti i maggiori conflitti marittimi che si sono verificati nel corso del XIX e XX secolo. Anche se specifiche restrizioni legali internazionali sono state ampiamente concordate a causa dell’impatto critico sulla navigazione commerciale, le mine alla deriva sono utilizzate dalle forze armate di numerosi paesi.
Il quadro giuridico che fa riferimento alle mine navali, e in particolare alle mine alla deriva, può essere rappresentato da quattro convenzioni internazionali e raccolte di leggi regolamentate: l’Ottava Convenzione dell’Aia del 1907; la Convenzione di Ginevra del 1949; la Convenzione ONU sul diritto del mare del 1982 (UNCLOS-82) e il Manuale di Sanremo del 1995.
Cos’è una mina navale e a quale scopo viene utilizzata
Sin dai tempi più remoti, il pericolo maggiore alla navigazione, militare o commerciale, è causato dalla presenza di ordigni marini, ovvero singole mine (in genere alla deriva o residuati bellici, in tempo di pace) o veri e propri campi minati, offensivi o difensivi, posati durante i conflitti armati. Come si può notare in figura 1, il numero di navi militari della US Navy colpite e/o danneggiate da mine navali dal dopoguerra ad oggi è di gran lunga superiore a qualunque altra tipologia di armi navali, quali missili o siluri.
La mina navale è un’arma generalmente a basso costo, alla portata di qualunque paese, ed il fatto di essere difficilmente visibile ed imprevedibile la rende potenzialmente molto efficace, con enormi effetti sulle operazioni militari navali e sul traffico marittimo civile. I recenti fatti connessi all‘invasione illegittima dell’Ucraina da parte delle forze armate Russe nel febbraio 2022, fatti comunque conseguenti alle operazioni militari del 2014 nelle zone marittime della penisola di Crimea, hanno aumentato l’attenzione della comunità internazionale sul minamento navale e, in particolare, sull’impiego delle mine alla deriva.
L’uso incontrollato di mine alla deriva in questi luoghi pone rischi critici alla navigazione civile e alle potenziali operazioni militari post-belliche per il ristabilimento della pace. Come ogni sistema d’arma, l’utilizzo della mina navale è regolamentato dal diritto internazionale e, nello specifico, da varie convenzioni e trattati che cercano di tutelare il libero diritto alla navigazione in piena sicurezza. Come si vedrà di seguito, questi regolamenti risultano talvolta insufficienti a garantire quanto dichiarato, anche se questo è un problema comune a tutti gli armamenti, quando impiegati senza il controllo rigoroso di autorità internazionali quali le Nazioni Unite.
La mina navale è definita come un ordigno esplosivo posato in acqua con l’intenzione di danneggiare o affondare il naviglio o dissuadere le navi dall’entrare o transitare in una determinata area. In genere le mine possono essere posate sul fondo del mare (e contenenti fino ad una tonnellata di carica esplosiva ad alto potenziale) o ancorate per poter galleggiare sotto la superficie ad una profondità di pochi metri. Nel primo caso la mina è dotata di sensori, più o meno sofisticati, che rilevano la perturbazione fisica causata dal passaggio del bersaglio (es. il rumore generato dalle eliche, la perturbazione magnetica originata dalle strutture ferrose, l’onda di pressione generata dal movimento dello scafo). Nel caso di mine ormeggiate, l’attivazione avviene generalmente al contatto della stessa con la carena attraverso delle sporgenze chiamate “corni”.
Una mina alla deriva può essere una mina ormeggiata, occasionalmente svincolata dal proprio ancoraggio (es. per corrosione dovuta al tempo) o una mina che deliberatamente viene privata del sistema di ancoraggio per poter galleggiare sulla superficie del mare in modo incontrollato, libera di muoversi sotto l’influenza del vento, delle onde, della corrente o della marea. In entrambi i casi l’attivazione avviene sempre a contatto.
Nel caso di mine ormeggiate o alla deriva la dimensione della carica è ridotta ad un centinaio di chili di esplosivo per ovvie ragioni di galleggiamento.
Il danno al bersaglio è quindi ridotto rispetto alle “cugine” posate sul fondo, anche se l’onda d’urto, unita al calore generato, può provocare la perforazione dello scafo. Anche se le moderne mine sono progettate per disattivarsi in caso di malfunzionamento, le norme di sicurezza impongono di considerarle ancora attive. Tuttavia esiste un aspetto molto più importante di quello materiale legato ai potenziali danni sul bersaglio. Gli effetti psicologici delle mine navali sono spesso altrettanto o addirittura più efficaci delle manifestazioni fisiche. È sufficiente simulare la posa o “dichiarare” la presunta presenza di una o più mine per poter interdire un’area di mare o fermare un’operazione navale per un lungo periodo di tempo, tanto quanto necessario alle conseguenti operazioni di ricerca e bonifica.
La minaccia rappresentata dalle mine è menzionata regolarmente nella letteratura accademica e militare, ma non si dispone ancora di una stima precisa delle scorte mondiali. Nel 2009, secondo la Marina Americana, “più di un quarto di milione di mine marine di più di 300 tipi sono presenti negli inventari di più di 50 marine in tutto il mondo”. Un rapporto più recente ha rilevato che l’Iran dispone di decine di migliaia di mine navali (forse fino a 20.000), mentre la Corea del Nord ne ha circa 50.000, la Cina 100.000 e la Russia circa un quarto di milione.
Cenni storici
Uno dei primi esempi di materiale incendiario o esplosivo come metodo di guerra navale fu l’uso del cosidetto “fuoco greco” da parte dei Greci bizantini intorno al 670 d.C. La tecnica primordiale impiegata dai Greci ancora oggi dimostra che la guerra navale poteva essere condotta in modo devastante per le forze navali avversarie ma non richiedendo uno scontro diretto.
Le mine navali sono state utilizzate in numerosi conflitti nel corso del XIX secolo, a partire dalla guerra di Crimea, dalla guerra civile Americana, dalla guerra tra Russia e Turchia nel 1877-78 e dalla guerra tra Cina e Francia nel 1884-85. Un ulteriore utilizzo delle mine navali avvenne durante la ribellione dei Boxer in Cina alla fine del XIX secolo e durante la guerra Russo-Giapponese del 1904. Questo comportò l’inclusione delle mine fra i vari argomenti di discussione durante la Conferenza dell’Aia del 1907, con il risultato della ratifica della VIII Convenzione dell’Aia. Successivamente, le mine navali sono state utilizzate in quasi tutti i principali conflitti marittimi accaduti fino ai giorni nostri. In particolare, le mine alla deriva furono utilizzate occasionalmente durante la I e la II guerra mondiale.
Nel 1940, Winston Churchill promosse l'”Operazione Royal Marine” con l’impiego di mine navali e nel 1944 varie mine alla deriva furono posate nel fiume Reno, in territorio Francese per poter galleggiare lungo il fiume e diventare attive dopo aver raggiunto il territorio Tedesco. Nel dopoguerra, le mine alla deriva furono molto più difficili da rimuovere rispetto alle mine ormeggiate, causando più o meno gli stessi danni ad entrambe le parti. Ancora, operazioni di minamento si sono verificate durante le guerre Arabo-Israeliane del 1967 e 1973, la guerra Indo-Pakistana del 1971, le guerre Balcaniche del 1991 e la guerra Anglo-Argentina del 1982.
Nel 1991, le forze navali Alleate persero il controllo del Golfo Persico settentrionale a causa dei campi minati lungo le coste Irachene e Kuwaitiane. I campi minati consistevano in un mix fra un migliaio di mine da fondo, ormeggiate ed alla deriva. Si stima che il 20% delle mine alla deriva nell’area delle operazioni siano state posate intenzionalmente dalle forze Irachene, anche se chiaramente in violazione della Convenzione dell’Aia. Queste mine alla deriva complicarono ulteriormente le operazioni di bonifica ed ebbero un impatto significativo sulla navigazione commerciale nella regione del Golfo al termine delle ostilità (si stima la bonifica di circa 1300 mine). Pertanto, anche le più rudimentali mine navali a basso costo (vedere figura 3) possono causare danni significativi alle moderne navi da guerra ed avere un impatto strategico su un’operazione navale militare.
Vi sono esempi attuali di impiego di mine alla deriva ed ordigni improvvisati marittimi. Un cutter Ucraino è stato gravemente danneggiato dopo l’esplosione di una mina improvvisata. L’incidente è avvenuto nel Mar d’Azov l’8 giugno 2015. Questo episodio potrebbe essere classificato come violazione del diritto internazionale, perché nella pratica si tratta dell’uso di mine navali alla deriva, armate e incontrollate. Le autorità Ucraine hanno incolpato i separatisti Russi per questo incidente, ma il colpevole è di fatto ancora sconosciuto. Più recentemente, nel 2017, mine navali sono state segnalate nello stretto di Bab el-Mandeb e nel Mar Rosso vicino allo Yemen, e nel Mar d’Azov (acque interne sia dell’Ucraina che della Federazione Russa) dall’inizio delle operazioni militari attive nel 2014.
FONTE: Ingenio